A cosa hai diritto se vieni licenziato?
Se vieni licenziato a cosa hai diritto? Tutele e spettanze del lavoratore
In ogni azienda, può capitare che a un certo punto si arrivi alla fine di un percorso lavorativo.
Che sia una scelta del datore di lavoro, per riorganizzazione o riduzione del personale, o del dipendente, magari per una nuova opportunità professionale, i motivi possono essere diversi.
Ma una cosa è certa: ogni decisione porta con sé cambiamenti, sia per l’azienda che per chi lascia il proprio posto.
E proprio qui sorge una domanda importante: cosa spetta al lavoratore nel momento in cui si interrompe il rapporto di lavoro?
Quali tutele e diritti sono previsti?
Andiamo a scoprirlo.
Perché un dipendente viene licenziato?
Il mondo del lavoro è in continua evoluzione, e a volte le strade tra un’azienda e un dipendente possono separarsi.
Ma quali sono i motivi che portano a un licenziamento, o che spingono un dipendente a dare le dimissioni?
Motivi per cui un dipendente viene licenziato
Il licenziamento è una decisione delicata che il capo può prendere per diverse ragioni.
Tra le cause più frequenti c’è sicuramente la riduzione del personale, spesso legata a riorganizzazioni o difficoltà economiche dell’azienda in un dato periodo.
Un altro motivo frequente è la mancata performance lavorativa: se un dipendente non raggiunge gli obiettivi prefissati o non rispetta gli standard, l’azienda può decidere di interrompere il rapporto lavorativo.
Anche gravi violazioni disciplinari, come assenze ingiustificate, possono portare a un licenziamento immediato.
E poi i cambiamenti strutturali come fusioni o innovazioni tecnologiche possono rendere alcune posizioni obsolete, spingendo l’azienda a eliminarle.
Leggi anche “Come licenziare un dipendente”.
Motivi per cui un dipendente sceglie di licenziarsi
Dall’altro lato, ci sono molte ragioni per cui un dipendente potrebbe scegliere di lasciare volontariamente il proprio posto di lavoro.
Uno dei motivi più comuni è la mancanza di soddisfazione personale che spinge il dipendente a cercare nuove opportunità, magari in un ambiente più stimolante, oppure a voler migliorare le sue condizioni economiche, in un’azienda che offre benefici più vantaggiosi.
Quindi, un lavoratore può essere licenziato o licenziarsi per una serie di motivi che inevitabilmente classificano il licenziamento in diverse tipologie.
Vediamole insieme.
Tipologie di licenziamento
Sono quattro le tipologie di licenziamento per cui un rapporto di lavoro cessa di esistere e possiamo così sintetizzarle: licenziamento per giusta causa, per giustificato motivo soggettivo oppure oggettivo e collettivo.
- Licenziamento per giusta causa, art. 2119 del Codice Civile → è quello più grave e immediato. In questo caso, il datore di lavoro mette fine al rapporto lavorativo senza preavviso, perché il comportamento del dipendente è considerato talmente grave da rompere “in tronco” e definitivamente il rapporto di fiducia.
Ne sono un esempio i furti sul posto di lavoro oppure le violazioni del codice etico aziendale. - Licenziamento per giustificato motivo soggettivo → è legato a comportamenti inappropriati o irregolari da parte del dipendente, ma che non sono così gravi da giustificare un licenziamento immediato.
Questo tipo di licenziamento avviene generalmente in seguito a ripetuti richiami disciplinari, cattiva condotta, scarsa performance o mancanza di diligenza sul lavoro. Ma a differenza del licenziamento per giusta causa, qui è previsto un preavviso, oppure un’indennità sostitutiva, se il preavviso non viene rispettato. In alcuni casi, quando il licenziamento avviene per motivi disciplinari o quando si sospettano comportamenti scorretti del dipendente, le aziende potrebbero ricorrere a un’investigazione privata per raccogliere prove a supporto delle loro azioni. Questi strumenti permettono al datore di lavoro di tutelarsi in caso di controversie, soprattutto se l’obiettivo è provare un’infrazione contrattuale o verificare l’eventuale uso fraudolento di assenze. - Licenziamento per giustificato motivo oggettivo → questo tipo di licenziamento non ha a che fare con la condotta del dipendente, ma con esigenze aziendali. Ad esempio, l’azienda potrebbe decidere di chiudere un reparto, ridurre il personale per contenere i costi o automatizzare alcune mansioni. Anche in questo caso è previsto un preavviso, che se non viene rispettato, il lavoratore ha diritto a un’indennità sostitutiva.
- Licenziamento collettivo → si verifica quando un’azienda deve ridurre drasticamente il personale, indicando le motivazioni alla base dei licenziamenti e i criteri utilizzati per selezionare i dipendenti coinvolti (ad esempio, anzianità di servizio o carichi familiari).
Se un dipendente viene licenziato a cosa ha diritto?
Quando un dipendente viene licenziato, è importante conoscere i diritti di cui può beneficiare.
Le tutele previste per chi perde il lavoro si dividono tra quelle garantite dagli ammortizzatori sociali e le eventuali azioni legali da intraprendere nei confronti del datore di lavoro.
Il sussidio di disoccupazione NASPI
Il primo diritto riconosciuto a chi viene licenziato è la possibilità di richiedere la NASPI (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego), l’indennità di disoccupazione destinata ai lavoratori che hanno perso involontariamente il proprio impiego.
Questa misura di sostegno offre un aiuto economico temporaneo durante il periodo di ricerca di un nuovo lavoro.
La durata della NASPI dipende dai contributi accumulati negli ultimi quattro anni: in genere, chi ha lavorato senza interruzioni in questo arco di tempo può beneficiare del sussidio per un massimo di due anni.
L’importo della NASPI è naturalmente proporzionato al reddito percepito, ma con un limite massimo; per informazioni più precise e aggiornate, è sempre consigliabile consultare il sito dell’INPS.
Durante il periodo di percezione della NASPI, i contributi figurativi continuano ad accumularsi, il che significa che il lavoratore non perde settimane utili per la maturazione della pensione, pur non essendo occupato.
Contratto a tempo determinato e contratto a tempo indeterminato: se ti licenziano hai diritto alla disoccupazione in entrambi i casi?
Sì, la disoccupazione NASPI può essere richiesta sia dai lavoratori con contratto a tempo determinato che con contratto a tempo indeterminato, a condizione che la perdita del lavoro sia involontaria.
Questo significa che la NASPI viene concessa a chi è stato licenziato o il cui contratto è scaduto naturalmente senza rinnovo (nel caso di tempo determinato), ma non a chi si è dimesso volontariamente, tranne in alcune eccezioni specifiche come le dimissioni per giusta causa.
Il ticket NASPI: lo paga sempre e solo il datore di lavoro?
Quando un datore di lavoro decide di licenziare un dipendente, oltre a rispettare le procedure previste dalla legge, ha anche l’obbligo di versare il contributo del ticket NASPI.
Il contributo è interamente a carico del datore di lavoro e deve essere versato entro il termine previsto per la dichiarazione successiva al mese in cui il rapporto di lavoro è stato interrotto.
Tuttavia, esiste un’eccezione: se il licenziamento avviene per un comportamento grave del dipendente, come l’assenza reiterata senza giustificazione, che provoca un licenziamento disciplinare, il pagamento del ticket NASPI potrebbe essere a carico del lavoratore stesso.
Ma entriamo più nel dettaglio della questione.
Se vengo licenziato per assenza ingiustificata ho diritto alla disoccupazione?
Se un dipendente viene licenziato per assenze ingiustificate, questo rientra tra i casi di licenziamento per giusta causa, che comporta la perdita involontaria del posto di lavoro.
Di conseguenza, dal punto di vista legale, si crea una condizione di disoccupazione involontaria che, in linea di principio, darebbe diritto alla NASPI.
Il problema sorge però in merito agli abusi potenziali, ossia quando un lavoratore accumula assenze senza giustificazione con l’obiettivo di provocare il proprio licenziamento e ottenere il sussidio.
Questo comportamento è visto come un tentativo di aggirare le regole, poiché la NASPI non spetta a chi si dimette volontariamente.
La giurisprudenza, tuttavia, non ha sempre offerto una risposta univoca su questo tema.
Una sentenza della Cassazione (n. 25583/2019) ha chiarito che tali comportamenti sono considerati elusivi nei confronti del datore di lavoro e dell’INPS, poiché il datore è obbligato a pagare il ticket NASPI.
Se questi abusi vengono provati, il dipendente rischia di dover risarcire il datore di lavoro per il ticket pagato, e potrebbe trovarsi a dover restituire l’indennità già ricevuta dall’INPS, con sanzioni e interessi.
Tuttavia, un’altra pronuncia della Cassazione (ordinanza n. 27331/2023) ha modificato questa visione, sottolineando che con l’introduzione delle dimissioni telematiche (art. 26 del D.Lgs. 151/2015), è diventato più difficile ipotizzare un intento elusivo da parte del lavoratore.
Le procedure digitali hanno infatti reso trasparenti e controllabili le dimissioni, riducendo il rischio di manipolazioni.
Ciononostante, provocare intenzionalmente un licenziamento per ottenere la NASPI resta una pratica rischiosa e potenzialmente dannosa per il lavoratore.
Impugnazione del licenziamento e risarcimento
Oltre a ricevere la NASPI, un lavoratore licenziato ha anche il diritto di impugnare il licenziamento, se ritiene che sia avvenuto in modo illegittimo, non rispettando le norme di legge.
Se, dopo aver presentato entro i termini stabiliti una impugnazione formale, il licenziamento viene giudicato illegittimo, il lavoratore può avere diritto a:
- reintegrazione nel posto di lavoro
- risarcimento economico, che può arrivare fino a un massimo di 36 mensilità.
E se un dipendente si licenzia volontariamente ha diritto a qualche sussidio?
Se un dipendente si dimette volontariamente, di norma non ha diritto al sussidio NASPI dato che è un’indennità di disoccupazione che spetta ai lavoratori che hanno perso il lavoro in modo involontario.
Tuttavia, esistono alcune eccezioni: se le dimissioni avvengono per giusta causa, ossia per motivi seri e validi che impediscono la prosecuzione del rapporto di lavoro (ad esempio, mobbing, mancato pagamento dello stipendio o situazioni di grave disagio sul posto di lavoro), il lavoratore può comunque richiedere la NASPI.
In queste circostanze, le dimissioni sono considerate come involontarie poiché il lavoratore è costretto a lasciare il lavoro per ragioni indipendenti dalla propria volontà.
Se mi licenzio ho diritto al tfr?
Il TFR rappresenta una parte dello stipendio che viene accantonata ogni anno dal datore di lavoro e che il dipendente riceve alla fine del rapporto lavorativo, come una sorta di “liquidazione”.
Quindi, assolutamente sì.
Il trattamento di fine rapporto è una somma che spetta a tutti i lavoratori dipendenti quando il loro rapporto di lavoro termina, indipendentemente dal motivo che ha portato alla cessazione del contratto.
Che il lavoratore si licenzi volontariamente, venga licenziato, risolva il contratto consensualmente o vada in pensione, è sempre garantito il diritto al TFR.
Il datore di lavoro è tenuto a versare al dipendente la somma maturata fino al momento dell’interruzione del rapporto, senza eccezioni.
Anche nel caso delle dimissioni volontarie, il dipendente ha diritto a ricevere il TFR, che rappresenta una compensazione per il lavoro svolto fino a quel momento.
TFR e dimissioni: cosa accade se mi licenzio senza preavviso?
Se un dipendente si licenzia senza preavviso, ha comunque diritto al TFR.
Tuttavia, è importante fare una precisazione: se un dipendente si dimette senza rispettare il periodo di preavviso previsto dal contratto di lavoro, il datore di lavoro può trattenere dall’ultima busta paga o dalle spettanze finali (incluso il TFR) un importo pari alle giornate di preavviso non rispettate.
Questo importo, chiamato indennità di mancato preavviso, serve a compensare l’azienda per il tempo in cui non ha potuto organizzare una sostituzione.
In pratica, il TFR verrà comunque pagato, ma il datore di lavoro potrà trattenere una somma per coprire il mancato preavviso.
Il diritto al TFR rimane quindi intatto e non viene perso, indipendentemente dalle modalità con cui il rapporto lavorativo viene interrotto.